I racconti dei guardiani


...Nasce l'industria dell'acqua....


Fine anni '20. Usseglio e l'intera valle di Viu' "scoprono" di possedere una preziosa risorsa naturale: L'ACQUA. L'impresa Girola, per conto della Società Elettrica Ligure-Piemontese, inizia i lavori nel Vallone di Malciaussia e nell'alto Vallone d'Arnas: condotte, gallerie, sbarramenti, piani inclinati. Il cilindro di un argano, in ghisa, di oltre due metri di diametro e del peso di 15 quintali viene fatto strisciare sui ripidi fianchi del Mombasso, tirato su a forza dagli operai. Viene perfino costruita una decauville, una ferrovia in miniatura, che buca la montagna per collegare i due rami dell'alta Valle di Viu'.

Il grande progetto idroelettrico trasforma tutta la valle in un cantiere. Accorrono qui decine e decine di operai da tutta Italia al seguito delle imprese specializzate impegnate nei lavori. In capo a cinque anni, le cospicue risorse idriche delle montagne di Usseglio vengono raccolte in tre bacini artificiali, alimentati dai ghiacciai dell'elevata catena di confine compresa tra la Punta Maria e il Rocciamelone, e dalle abbondanti precipitazioni nevose. Il villaggio di Malciaussia scompare, sommerso da un lago artificiale che ora occupa la sua vasta conca, a 1800 metri di quota. Nel cuore delle Graie Meridionali, nel Vallone di Arnas, due specchi naturali vengono ampliati con la costruzione di dighe in pietre e malta. A 2370 metri di quota, presso il Lago Dietro la Torre, più piccolo (circa 110mila metri cubi ), viene istallata una centrale, con un impianto che pompa le acque del vasto bacino imbrifero su all'altro invaso, il Lago della Rossa. Qui a 2716 metri s.l.m. nasce un autentico mare di ghiaccio: 9 milioni di metri cubi d'acqua, sotto le scure pareti a picco della Croce Rossa e della Punta di Arnas. La casetta dei sorveglianti diventa il più alto insediamento umano abitato in permanenza di tutta Italia . A Malciaussia, alla " Torre " e alla " Rossa ", inizia la Storia dei Guardiani .

...Le storie dei Protagonisti....


..... Nei primi tempi non c'erano i cambi alle dighe. Noi addetti alla guardianìa si stava lassù e basta." "Lassù" due uomini alla Rossa e tre alla Torre presidiano gli sbarramenti."Quando si voleva scendere a valle per riposo si chiedeva permesso e le giornate non erano pagate ". Giuseppe "Righin" Castrale detto Gep, classe 1910, di Usseglio, è stato per quasi quarant'anni sorvegliante agli impianti idroelettrici dell'alto vallone di Arnas.. " . "A volte ci si fermava alle dighe per sei mesi prima di poter tornare giù. D'inverno con tre o quattro metri di neve e il pericolo di slavine si rimaneva spesso bloccati; e d'altronde poi si poteva chiedere sostituzione solo in caso di malattia. Il lavoro era duro, ma allora era grazia di poter lavorare". Gep Righin ha cominciato a fare il guardiano nel '32. Era di famiglia povera, dieci fratelli. L'industria idroelettrica portò nella valle un po' di benessere e qualche posto di lavoro. Gep e suo fratello Toni, gente tenace, che non vedeva la montagna quale essenza di una natura ostile e avara, scelsero quel lavoro per necessità. Ma per loro diventò poi una scelta di vita. Non si sposarono mai, lasciarono la guardianìa solo al sopraggiungere della pensione. "Una vita passata lassù, ma con soddisfazione. Per conoscere la montagna bisogna viverci insieme ed esserne fregati sempre ".

Il buon Righin non si lascia andare facilmente ai ricordi, quasi volesse custodirli gelosamente. Sollecitato da un vecchio amico, che conosce tutte le sue storie, e da un giusto bicchiere di vino, Giuseppe Castrale allora svela i suoi segreti. Lo fa' Senza nostalgia , anzi quasi con compiacimento, con orgoglio. Sono racconti di anni spesi nel cuore delle Alpi, di scorribande sulle cime amiche, di solitudine, di ristrettezza e paura quando imperversava la guerra. A distanza di decenni qualche avvenimento viene quasi circondato da un alone di leggenda. "Non era una vita facile su alle dighe: dodici ore di sorveglianza al giorno, controllare stramazzi e perdite e dare i dati per telefono giù al Crot, a certe ore. Poi la manutenzione degli impianti. La giornata cominciava alle 6 e finiva a mezzanotte con l'ultima registrazione dei rilevamenti. I rari contatti con la valle si avevano col telefono di servizio: di tanto in tanto si poteva scambiare qualche parola con i familiari. L'unica compagnia era la radio. O la fisarmonica nelle lunghe sere vicino alla stufetta".

Gli interminabili inverni del '43 e del '44 hanno rappresentato i momenti più difficili per i guardiani di quelle acque sospese su Usseglio. In quei drammatici mesi il deserto bianco in cui erano confinati si animava. Partigiani e "repubblichini", tedeschi e maqui francesi si rincorrevano su per i ripidi fianchi della val di Viù. Ed ognuno, con le buone o con le cattive, costringeva i sorveglianti a stare dalla propria parte. "Il nostro cuore era con i partigiani, ma noi si cercava di spacciare informazioni artefatte, per accondiscendere di volta in volta a chi ci visitava armi in pugno", narra Righin. "L'importante era aver salva la pelle." "La parola d'ordine in quei momenti là era: tension che' tronoma. C'era un bailamme là dentro!" Bartolomeo "Tomin" Perino si riferisce alla casetta del lago della Rossa. Il bacino si trova a circa quaranta minuti ( "a passo più che buono...") dal Col d'Arnas, il più vicino e comodo valico con la Francia. La casetta dei guardiani era diventata un vero e proprio campo profughi, visitato non di rado dai nazi-fascisti in rastrellamento. Tomin, classe 1906, si è fatto gli anni di guerra su alla Rossa, teatro spesso di sparatorie ed appostamenti, avamposto o tappa di ritirata. "Nell'autunno del '44 c'erano 350 persone di tutte le qualita su' al lago." Erano donne e bambini dei partigiani, oltre a combattenti slavi, francesi, americani, russi. I partigiani francesi e italiani li facevano accampare presso la diga perché i guardiani potevano far arrivare il cibo con la teleferica di servizio, d'accordo con gli addetti del fondovalle. Informata da delatori, la X Mas sale da Balme, col proposito di prendere alle spalle il campo dei partigiani. Ma questi non si lasciano sorprendere ed evacuano la casetta.....

ed i dintorni del lago, riparando oltre confine. Fu in quella occasione che i fascisti, non avendo scovato i partigiani, diedero alle fiamme per ritorsione il vicino rifugio Gastaldi. "Volevano passare per le armi anche noi custodi come traditori della patria, perché non dicevamo dove erano nascoste masserizie e fucili dei partigiani," racconta Perino. Negli stessi giorni, in uno scontro con i maqui, i giovani repubblichini della brigata Monterosa lasciarono diversi morti sulla neve. Le salme ed anche alcuni feriti vengono riportati a valle sulla teleferica di servizio. Giuseppe Castrale è costretto ad andare a recuperare l'ultimo cadavere, a metà di un ripido canalone, ("Era rigido per la morte ed il gelo, me lo caricai a spalle come un pezzo di legno, quel ragazzo" ) e portarlo, sci ai piedi, alla partenza della teleferica. Ai guardiani della diga della Rossa i partigiani lasciavano pure l'incombenza, rischiosa, di occuparsi dei feriti. "Li spostavamo fra Margone ed il Lago Dietro la Torre , dove c'erano le basi con qualche assistenza medica, a seconda delle mosse dei fascisti", ricorda lucidamente Tomin Perino. "Li portavamo, talvolta di notte, attraverso le gallerie ed i piani inclinati della decauville. 'Na volta li abbiamo nascosti nella galleria di Moncortil". La guerra non recava solo inquietudine.

"Sovente ci mancava tutto. Quante volte io e Toni siamo scesi a Bessans, in Savoia a prendere il sale, per poi risalire il col d'Arnas con gli sci ai piedi e tre metri di neve, e 35 chili sulle spalle..." Righin racconta anche di quella volta che, sempre in pieno inverno 1944, suo fratello si portò sulle braccia una capra: dai casolari d'Averole al Lago Dietro la Torre!! Ma in quei tempi di confusione e disorientamento qualcuno si recava nella vicina Francia non al solo scopo di procacciarsi il necessario.... " A mezzanotte, dopo aver telefonato giù i dati, il mio socio partiva da solo , d'inverno con la luna piena, andava ad Averol per qualche traffico." Confida un vecchio guardiano. " Andava e veniva prima che facesse giorno, quel diavolo!". Il modesto contrabbando per qualcuno rappresentava, in quei momenti di inflazione alle stelle, un modo per integrare la paga. Grazie a Dio la guerra non rubò la vita di nessun guardiano. Fortuna, e tanta scaltrezza, forza d'animo e spirito di sacrificio. "Nemmeno i lupi sarebbero stati lassù", conclude saggiamente la moglie di Perino. Quante cose sono cambiate dai tempi di Gep e di Tomin. Così come è mutato il nostro metro per misurare le privazioni. Per raggiungere il loro eremitaggio i custodi delle dighe non sono più costretti a risalire a piedi il vallone d'Arnas.

Una volta occorrevano sei-sette ore d'inverno, con gli sci e le pelli di foca, per toccare la casetta del lago della Rossa. Nel '65 è stata costruita una funivia, fruibile ai soli addetti, che sale agli impianti Dietro la Torre. Oggi poi l'avvicendamento del personale avviene, in caso di necessità, per mezzo degli elicotteri. Ai laghi le baracche in lamiera, che venivano talvolta semidistrutte dalle slavine, hanno ceduto il posto a solide costruzioni in cemento. E dentro non c'è più il forno per fare il pane. Soprattutto è stato introdotto il sistema dei turni. Prima annuali ( a Righin doveva esser parsa una conquista...), poi semestrali, mensili e così via . Oggi le guardianìe durano in media cinque giorni. Tutto ciò ha migliorato specialmente la situazione psicologica dei custodi, attenuandone il senso di solitudine e di isolamento, quasi di impotenza di fronte ad eventi imponderabili della Montagna.

Ma se gli uomini sono meno smarriti nel loro approccio con la natura, non per questo le condizioni oggettive in cui i guardiani svolgono il loro lavoro sono diverse. Gli elementi conservano la loro forza. Pochi anni or sono un uomo ebbe rovinata la salute per essere stato sorpreso in pieno inverno dalla tormenta. Rimase sei ore senza riparo. Si trovava, e ne era cosciente, a poche decine di metri dalla casa dei guardiani, ma non poteva scorgere la salvezza a causa della violenza del maltempo. Ennio Re Fiorentin, 43 anni, rampollo di una grande dinastia di guide alpine di Usseglio, ricorda:" ho vissuto l'esperienza di guardiano negli anni '60. Anch'io rammento nevicate memorabili. Una volta fummo costretti a non poter uscire dalla casetta per 15 giorni consecutivi, per la neve e la tormenta. La paura di rimanere isolati e di non ricevere soccorsi in caso di malattia era l'aspetto più opprimente del mestiere". Re Fiorentin racconta che il fratello, come lui custode alle dighe, nell'inverno del '68 rischiò la vita per una peritonite; il maltempo gli aveva impedito di scendere prontamente a valle ai primi sintomi. Anche Ignazio Guglielmino, 59 anni, di Viu', ha vissuto ore drammatiche presso il lago Dietro la Torre: Guglielmino, chiamato "la lepre", è titolare di una impresa di costruzioni. Nel febbraio del '72 venti suoi uomini erano impegnati in interventi edilizi agli impianti. Improvvisamente il tempo volse al peggio. In poche ore sulle Valli di Lanzo caddero metri di neve. Usseglio rimase paralizzata.

Gli operai e gli addetti dell'ENEL rimasero isolati nella centrale, a 2361 metri di quota, impossibilitati a ricevere aiuti, e minacciati dalle valanghe. Il cibo cominciò a scarseggiare, e spesso mancava la corrente. " Io a casa sapevo che lassù c'erano trenta persone con il naso schiacciato contro i vetri nella speranza di cogliere cambiamenti nel tempo" , racconta Guglielmino. In breve lassù anche le finestre si fecero bianche. "Decisi di raggiungere Usseglio in qualche modo. Di lì ottenni di salire con la funivia, cosa rischiosa perché i sostegni avrebbero potuto cedere al passaggio della cabina. Portai con me quante più provviste potei. Giunto lassù mi aprii la strada nella neve alta, fino alla centrale". La nevicata durò 130 ore consecutive: tutta la valle venne sepolta da sei metri di neve !! Dopo giorni d'angoscia, gli uomini vennero salvati dal " grande uccello rosso". Fu la prima operazione di soccorso condotta con l'elicottero nelle Valli di Lanzo. Come sarebbe andata a finire negli anni '30, quando Gep, Toni e Tomin si spostavano solo a piedi o con gli sci.....
....La montagna riserva sempre sorprese, ma quella Montagna ormai oggi vive solo nei loro ricordi. Quel mestiere è diventato un lavoro, quei fatti delle STORIE da SALVARE perché appartengono a tutta una Comunità.

testi di Marco Fassero

disegni di Luca Calmasini


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